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Lettere, diari e poesie

Poesie, lettere e diari

 

  • poesie di Pablo Neruda, Charles Pèguy e Giuseppe Ungaretti

 

Poesie

Non potevi dormire, non dormivi …
Gridasti: Soffoco …
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
gli occhi, che erano ancora luminosi
solo un attimo fa,
gli occhi si dilatarono … Si persero …
Sempre ero stato timido,
ribelle, torbido; ma puro, libero,
felice rinascevo nel tuo sguardo …
Poi la bocca, la bocca
che una volta pareva, lungo i giorni,
lampo di grazia e gioia,
la bocca si contorse in lotta muta …
Un bimbo è morto …

Nove anni, chiuso cerchio,
nove anni cui né giorni, né minuti
mai più s’aggiungeranno:
In essi s’alimenta
l’unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti,
posso andare, continuamente vado
a rivederti crescere
da un punto all’altro
dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso,
distintamente posso
sentirti le mani nelle mie mani:
le mani tue di pargolo
che afferrano le mie senza conoscerle;
le tue mani che si fanno sensibili,
sempre più consapevoli
abbandonandosi nelle mie mani;
le tue mani che diventano secche
e, sole – pallidissime –
sole nell’ombra sostano …
La settimana scorsa eri fiorente …

Ti vado a prendere il vestito a casa,
poi nella cassa ti verranno a chiudere
per sempre. No, per sempre
sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi
che non sapesse il tuo sorriso vivo:
provala ancora, accrescile la forza,
se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi
dove il vivere è calma, è senza morte.

Sconto, sopravvivendoti, l’orrore
degli anni che t’usurpo,
e che ai tuoi anni aggiungo,
demente di rimorso,
come se, ancora tra di noi mortale,
tu continuassi a crescere;
ma cresce solo, vuota,
la mia vecchiaia odiosa …

Come ora, era di notte,
e mi davi la mano, fine mano …
Spaventato tra me e me m’ascoltavo:
è troppo azzurro questo cielo australe,
troppi astri lo gremiscono,
troppi e, per noi, non uno familiare …

(Cielo sordo, che scende senza un soffio,
sordo che udrò continuamente opprimere
mani tese a scansarlo …)

Giuseppe Ungaretti

” Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto …”
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo …

Ora potrò baciare solo in sogno
le fiduciose mani …
e discorro, lavoro,
sono appena mutato,
temo, fumo …
Come si può ch’io regga a tanta notte? …

Mi porteranno gli anni
chissà quali altri orrori,
ma ti sentivo accanto,
mi avresti consolato …

Mai, non saprete mai come m’illumina
l’ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più …

Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze
sollevava dai crucci un uomo stanco? …
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola …

Ogni altra voce è un’eco che si spegne
ora che una mi chiama
dalle vette immortali …

In cielo cerco il tuo felice volto,
ed i miei occhi in me null’altro vedano
quando anch’essi vorrà chiudere Iddio …

E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto! …

Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo …
Non conta … Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù …
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice …

Son tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell’aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio …

Passa la rondine e con essa estate,
e anch’io, mi dico, passerò …
Ma resti dell’amore che mi strazia
non solo segno un breve appannamento
se dall’inferno arrivo a qualche quiete …

Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza …
E fu la furia che abbatté la tenera
forma e la premurosa
carità di una voce mi consuma …

Non più furori reca a me l’estate,
né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente! …

Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato …

Rievocherò senza rimorso sempre
un’incantevole agonia dei sensi?
Ascolta, cieco: “un’anima è partita
dal comune castigo ancora illesa …”

Mi abbatterà meno di non più udire
i gridi vivi della sua purezza
che di sentire quasi estinto in me
il fremito pauroso della colpa?

Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero saltelli d’un bimbetto …

Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e, alla fermezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua …

Fa dolce e forse qui vicino passi
dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”.

Giuseppe Ungaretti

La verità illusoria

Quando la morte bussò alla mia porta
la pregai in ginocchio di non entrare,
ma lei entrò senza esitare.
Altre volte venni in questa casa,
disse, e sempre mi accogliesti.

Venni vestita di verde,
cosparsi di fiori il tuo glicine,
profumai il tuo giardino, lo bagnai di rugiada,
mi chiamasti natura.

Venni vestita di bianco,
feci brillare i tuoi occhi,
sorridere tua moglie e i tuoi figli,
mi chiamasti letizia.

Venni vestita di rosso,
tremò il tuo cuore, pregasti,
qualcuno andò via,
altri ti dissero parole buone,
mi chiamasti dolore.

Venni di luce vestita
e ti sentisti più vivo, più vero,
ti sembrò ogni cosa più cara,
mi chiamasti amore.

Ora perché mi vedi di nero vestita
credi che io spezzi, interrompa,
mi credi nemica di ciò che tu ami.

Ma non guardare il vestito.

Non parlai, lei prese per mano
la mia sposa e si avviò.

Allora gridai: qual è il tuo nome?
Rispose la morte di nero vestita:
il mio nome è uno solo, sono la vita.

Da “Nella danza sei tu” di Joyce Dijkstra – Gabrielli editore

Il segreto della morte

Ma come potete trovarlo,
se non lo cercate nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi legati alla notte non vedono il giorno,
non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete contemplare lo spirito della morte,
spalancate il cuore al corpo della vita.
Perché la vita e la morte sono una sola cosa,
come il fiume e il mare.

Nel profondo delle vostre speranze e dei vostri desideri
risiede la muta conoscenza dell’Oltre.
E come semi che sognano sotto la neve,
il vostro cuore sogna la primavera.
Fidatevi dei sogni,
perché in essi è nascosto il passaggio verso l’eternità.

Perché cos’è il morire,
se non essere nudi nel vento e fondersi nel sole?
E che altro è non più respirare,
se non liberare il respiro alle sue insonni maree,
perché possa levarsi ed espandersi
e cercar Dio senza ingombri?

Solo quando berrete al fiume del silenzio,
canterete davvero.
E quando avrete raggiunto la sommità del monte,
comincerete a salire.
E quando la terra esigerà le vostre membra,
solo allora danzerete veramente.

Gibran Kahlil Gibran

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