Roberta ha scritto questa poesia il 18.3.98; il 29.4.98 è stata uccisa.
Era una quindicenne appassionata della vita, dell’arte, dallo sport alla pittura, con tanti amici; amava i suoi insieme alle nonne e zie anziane e ne era teneramente riamata, spandeva intorno a sè, a piene mani, vitalità e dolcezza: miniera d’amore e di comprensione dove tutti hanno scavato; credeva profondamente, con la fede di una bambina.
Difendeva la diversità delle persone e nei suoi progetti c’era l’impegno di una vita e di una professione nella difesa del diritto a non essere poveri.
Quel bel pomeriggio di primavera era sul suo motorino a pochi metri da casa, col suo casco ed attenta a rispettare le regole stradali per non far male ad altri, quando un uomo, muovendo d’improvviso l’auto per una inversione di marcia, l’ha colpita.
L’urto l’ha sbalzata sul cofano, l’uomo a quel punto ha accelerato mentre Roberta scivolava piano davanti, l’ha schiacciata contro il palo della luce, le ha spento il motore addosso, non è sceso dalla macchina per ben cinque-dieci minuti, impedendo i soccorsi, uccidendola. Quell’uomo con quell’accelerata ha cancellato Roberta dal mondo con i suoi progetti, le nostre aspettative di dolce vecchiaia ed i nostri più cari affetti.
Roberta è stata meritatamente promossa in prima liceo “alla memoria”; ma alla famiglia (*) distrutta dal dolore l’uomo non ha chiesto perdono e la società non ha dato finora giustizia.
La fredda indifferenza per le altre persone, che lei da adulta avrebbe voluto combattere e che ha messo in luce nella sua poesia, è la stessa che l’ha uccisa e continua, senza pentimento e senza punizione, ad uccidere altri figli.